Spunti da una conferenza di Ugo Morelli, Invito al giardino, Milano, 12 gennaio 2012
Morelli ė autore tra gli altri di ‘Mente e paesaggio’, Bollati e Boringhieri, 2011 e di ‘Mente e bellezza’, Allemandi, 2010, che affrontano da un punto di vista cognitivo il rapporto mente-paesaggio e l’esperienza estetica.
In questo approccio, molto suggestivo e stimolante, si tratta di affrontare non solo la fruizione ma la vivibilità nella relazione dell’animale uomo con il paesaggio.
Secondo gli studi della scienza cognitiva la cornice acquisita nella prima infanzia riguardo al modo di incorporare l’ambiente rimarrà il parametro fondamentale di riferimento per ogni altro paesaggio. Vale a dire che noi costruiamo il mondo in cui viviamo.
La bellezza non é un fatto esterno ma incarna il legame uomo-mondo (secondo l’etimologia greca aestesis significa sensazione). Citando Fausto Melotti (da Linee), l’arte non é una istanza mentalistica, che nasce da una mente isolata dal mondo, ma il risultato di una particolare competenza della specie umana che da un certo punto della sua evoluzione diventa simbolica: é per questo che possiamo parlare di giardino e di paesaggio, perché un insieme di piante e di fiori non sono solo una cosa in sé.
Secondo le nuove acquisizioni della scienza cognitiva la mente é ‘embodied’, cioè ‘incarnata’; ‘embedded’, cioè ‘situata nelle situazioni’; ‘extended’, cioè ‘estesa’. Vale a dire che la mente che condivide gli spazi del luogo che vive, non può che trasformare il contesto in cui vive (embedded). Occorre perciò interrompere la separatezza del modo in cui parliamo di paesaggio. Noi abbiamo una mente relazionale, incarnata e non esiste una scissione fra mente e corpo.
Uno dei risultati più importanti della ricerca é che l’esperienza estetica é esperienza sociale e responsabilità: stare bene o male in uno spazio non é mai solo un fatto individuale ma sono fatti nostri.
Non esistono paesaggi incontaminati perché la condizione per l’esistenza di un paesaggio é la presenza di un osservatore: quindi attenzione ai facili ecologismi e al rischio – isolando paesaggi naturali in artificiali – di preservare pezzi di mondo considerati autentici a detrimento di tutto il resto!
Noi costruiamo e cerchiamo bellezza e paesaggi come espressione della nostra evoluzione storica e naturale che ci ha fatto esseri dotati di una tensione rinviante, esseri cioè desideranti e capaci di tendere all’oltre non solo nell’arte, ma anche nella scienza, nella politica, nel sacro e nell’amore.
Un’altra riflessione importante di Morelli riguarda la differenza fra simbolico e immaginario: noi siamo sempre meno capaci di vivere esperienze simboliche, ma ci siamo consegnati all’immaginario depauperando le nostre esperienze estetiche della loro valenza simbolica e trasformandole così in cose seriali. Si assiste cioè sempre di più ad una colonizzazione da parte dell’immaginario dello spazio simbolico.
Il paesaggio emerge al punto di connessione fra mondo interno e mondo esterno come mediazione del principio del movimento (si impara camminando) e della immaginazione: attraverso il movimento e l’immaginazione noi trasformiamo lo spazio in paesaggio. Il problema di oggi é l vivibilità che sarà possibile solo con la natura e non più contro la natura e questo passaggio cruciale sarà molto difficile perché per l’essere umano cambiare idea è difficilissimo. Ci sono ostacoli sia affettivi che cognitivi che ci rendono difficile arrivare ad una concezione del paesaggio che sia vivibile essendo alleati con la natura. Infatti dobbiamo rifigurarci da sopra le parti a parte del tutto.
In questa concezione i paesaggi non sono quello che sta fuori di noi ma spazi di vita e arena della partecipazione responsabile e della negoziazione.
Per finire Morelli cita Rilke che dinanzi alle Dolomiti afferma che sono belle perché irripetibili, perché non ci saranno più!
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