Spirito wabi
Mi viene da dire evviva gli incontri casuali che poi ci fanno scoprire i legami tra le cose che più ci hanno colpito. Mentre stavo scrivendo il mio libro sul giardino d’ombra Marco Bay mi parlò di un libro che non potevo non leggere, vista la mia passione per il Giappone e per l’ombra: è così che ho scoperto un libro che ritengo fra quelli miei più preziosi, “Libro d’ombra” di Junichiro Tanizaki, edito da Bompiani e che consiglio vivamente a tutti coloro che prediligono i mezzi toni, le cose imperfette, gli spazi vuoti e che alle superfici radiose preferiscono un universo avvolto da ombre.
Recentemente una cara amica paesaggista, Silvia Ghirelli, con la quale ho condiviso la gioiosa compagnia in alcuni viaggi, mi ha regalato un libro che mi ha preso tantissimo, “Spirito wabi” di Axel Vervoordt. Premetto che ignoravo sia lo wabi sia l’autore. Ma ho scoperto che l’autore, un personaggio poliedrico che spazia dall’architettura all’antiquariato, cita fra i suoi riferimenti più importanti, oltre a Lucio Fontana (che io amo tantissimo), il movimento zero, il movimento giapponese Gutai (che occupa la scena artistica giapponese del secondo dopoguerra dopo Hiroshima e Nagasaki), anche Tanizaki e il suo libro d’ombra. Ecco che allora tutto sembra tornare e io capisco anche meglio perchè sono così innamorata del Giappone, della sua cultura e dei suoi giardini.
Axel Vervoordt ha scoperto il concetto di Wabi-Sabi attraverso la lettura di “Wabi-Sabi per artisti, designer, poeti e filosofi” di Leonard Koren e attraverso il Libro d’ombra. In seguito collaborando con l’architetto giapponese Tatsuro Miki ha coniato il concetto di wabi applicandolo all’architettura. Il termine, preso in prestito dal giapponese, indica una cosa nel suo stato più austero e naturale, la bellezza che si ritrova in oggetti umili e senza pretese, dell’imperfezione e della incompletezza.
Qui di seguito riporto alcune immagini che ho tratto dal libro
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