Letti per voi giugno 2016: Martella e Giubbini
Questo mese vi propongo due saggi a mio parere molto interessanti
M. Martella, Tornare al giardino, Ponte alle Grazie, 2016, 59 pp., 9 €
Un piccolo libro ricco di tante riflessioni profonde e di suggestioni poetiche. Diviso in tre parti Luogo, Natura morta, Giardino.
Per Martella (di cui ho già recensito Giardini in tempo di guerra https://www.giardininviaggio.it/letto-per-voi) tornare al giardino vuol dire un ritorno “al mondo incantato della physis”, che per i primi filosofi greci era molto di più di quello che oggi noi chiamiamo natura: cioè l’essere e il movimento che include gli uomini e le divinità e che non si discosta molto dal Tao cinese. La storia dell’occidente ha poi preso un’altra direzione con un progressivo allontanamento dell’uomo dal proprio ambiente con la natura che è divenuta un oggetto.
Per Martella in questo processo “abbiamo perduto la capacità di abitare poeticamente la Terra” cioè la capacità di “accettare il mistero dell’esistenza non come un limite, ma come apertura, come promessa”.
Quello che noi proviamo è una sorta di nostalgia delle nostre origini, del tempo in cui gli esseri umani erano in armonia con il cosmo. Il giardino allora ci offre “la possibilità di abitare la Terra con umiltà, come suoi figli, affidando alle piante, all’acqua e agli animali la cura dell’anima mutilata”.
Guido Giubbini, Il giardino degli equivoci. Controstoria del giardino da Babilonia alla Land Art, Derive e Approdi, 2016, 127 pp., 14 €
Guido Giubbini, storico dell’arte e fondatore della rivista Rosanova, aveva già pubblicato in due volumi i suoi saggi storici sul giardino (vedi https://www.giardininviaggio.it/letture-2 e https://www.giardininviaggio.it/letti-per-voi-5).
Nel breve saggio appena dato alle stampe ci propone in 15 capitoli da lui intitolati “Equivoci” una sorta di controstoria in cui, devo dire con solide argomentazioni, sfata molti dei miti che hanno avvolto per secoli la storia dei giardini.
Qualche esempio?
Quello del giardino quadripartito (chahar bagh) che in specie la storiografia anglosassone ci ha tramandato come il modello persiano di tipo centripeto e chiuso verso il paesaggio. In realtà secondo Giubbini il giardino persiano era un giardino semplicemente organizzato in lotti quadrati ma di tipo longitudinale e aperto verso l’esterno; questo modello è poi stato tramandato, attraverso i giardini di Granada, al Rinascimento italiano e quiandi a tutto il giardino moderno occidentale. Ed è proprio nell’occidente cristiano e non nell’Islam che ha avuto successo il giardino quadripartito di tipo chiuso e centripeto.
Un altro mito da sfatare è quello che riguarda Villa Lante di Bagnaia, il cui parterre originariamente doveva apparire come un “piccolo esercito di orti cintati, ben diverso dall’attuale disegno neobarocco di siepi di bosso”. O ancora l’equivoco dei giardini di Versailles, che “pur essendo così importanti non sono l’opera più importante, e nemmeno la più bella, di André Le Notre”, una sorta di “compromesso tra il suo stile più caratteristico, quello di Vaux-le-Vicomte e di Chantilly, e lo stile italiano; un compromesso, probabilmente voluto dallo stesso Luigi XIV”.
E poi ancora si parla di Capability Brown e del giardino paesistico inglese, di Vita Sackville West e del giardino a stanze, del rapporto tra giardino e paesaggio.
Un libro che fa molto riflettere e che ci dimostra come sia difficile considerare il giardino nella sua interezza collegando tra loro tutti i differenti elementi che lo costituiscono, estetici, simbolici, sacri, botanici, paesistici, sociali. Un invito come dice l’autore nella sua introduzione “all’esercizio del dubbio e della critica”.
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