Il labirinto della Masone di Franco Maria Ricci
Era da tanto tempo che volevo visitare il Labirinto della Masone, e l’occasione è stato l’invito della cara amica Angela Zaffignani a partecipare ad uno degli incontri da lei organizzati ‘I giardini di giugno’ per parlare del mio libro sui giardini del mondo.
Il complesso, davvero monumentale, è composto da una serie di architetture affidate all’architetto Pier Carlo Bontempi, che ‘condivide con Franco Maria Ricci l’amore per le forme classiche, per una tradizione italiana ed europea, fatta di opere concluse, definitive, ma anche di visioni e fantasie rimaste sospese e come in attesa. Nel concepire il disegno del dedalo Ricci si è ispirato ai mosaici delle ville e delle terme romane; per le opere murarie sono stati scelti come punto di riferimento, d’accordo con Bontempi, i grandi architetti del periodo della Rivoluzione Francese: Boullée, Ledoux, Lequeu, e l’italiano Antolini, autore di un visionario progetto del Foro Bonaparte a Milano (mai eseguito ma giunto sino a noi sotto forma di un volume di Bodoni)’.
Il museo, davvero un tesoro di oggetti artistici che rispecchiano i gusti eclettici di Ricci, contiene opere che spaziano dal Cinquecento al Novecento; notevoli le opere di Wildt, Ligabue, Savinio, unite alle eleganze di epoca Déco.
La mia curiosità era soprattutto quella di vedere il famoso labirinto, il più grande del mondo (composto da oltre 200.000 bamboo di 20 specie diverse) la cui genesi così racconta Franco Maria Ricci ‘Com’è noto, quando fece costruire il suo Labirinto, che era una prigione, Minosse nutriva intenzioni cupe e crudeli; io immaginai un equivalente addolcito, che fosse anche un Giardino, dove la gente potesse passeggiare, smarrendosi di tanto in tanto, ma senza pericolo. La passione per il bambù – questa pianta elegantissima, ma così poco utilizzata in Occidente, e specialmente in Italia – mi suggerì la materia prima ideale.Da allora, e soprattutto negli ultimi anni, l’impresa ha assorbito la maggior parte del mio tempo. Quando nacque, il progetto aveva un carattere abbastanza personale. Sulle terre che avevano nutrito, e un po’ anche arricchito, la mia famiglia, volevo lasciare una traccia di me. Col passare del tempo quell’idea primitiva si è in gran parte trasformata. Forse è colpa dell’età, ma ormai vedo il Labirinto soprattutto come un modo di restituire a un lembo di Pianura Padana che comprende Parma, il suo contado e le città vicine, una parte almeno del molto che mi ha dato’.
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