Curare la terra. Giornate internazionali di studio Fondazione Benetton, Treviso
Tornare alla Fondazione Benetton di Treviso, luogo davvero prezioso per lo studio e la ricerca sui temi del paesaggio, è sempre un piacere.
Intanto ogni volta trovo di un’ armonia e di una eleganza strordinarie il piccolo giardino interno, ideato da Luciani e Pizzetti nel 2004. Un disegno geometrico essenziale dominato dal cerchio tappezzato da Geranium macrorrhizum con altre aiuole rialzate tutte bordate da corten (quando l’uso di questo materiale era ancora una novità!) con parti di Vinca minor (già tutta in fiore in questi giorni di precoce primavera), di Epimedium, Geranium sanguineum. Sui lati che lambiscono il canale masse di bambù nano variegato.
E poi alla Fondazione si ha la possibilità di seguire conferenze di grande spessore, di ascoltare riflessioni e testiomianze di calibro internazionale e di fare il pieno di spunti e di suggestioni che fanno assai bene al nostro spirito.
Il tema di questa edizione, che si svolge ogni anno, La cura della terra: luoghi, pratiche ed esperienze.
Solo alcune piccole tracce sintetiche delle due giornate assai dense e diversificate sul piano delle modalità di comunicazione e dei contenuti.
A parere di Joan Nogué, professore di geografia umana all’Università di Girona, il fenomeno della neoruralità – sorto a cavallo degli anni ’60 e ’70 – anche se in forme diverse è più vivo che mai, e qualcosa si muove nella direzione di un nuovo modo di osservare i luoghi e della ricerca di una vita a maggiore contatto con la natura. Si cerca in qualche modo di passare dallo spazio al luogo. Nel futuro il fenomeno si svilupperà ancora di più senza dicotomia fra città e campagna perchè l’agricoltura sta entrando nel contesto urbano.
Hervé Brunon, storico dei giardini francese, partendo dal mito edenico della Genesi, traccia la figura concettuale del giardiniere come uomo non “colpevole” ma “capace” di delineare grazie al giardino (“natura fatta parola e parola fatta natura secondo Rosario Assunto) quell’orizzonte di speranza che non consiste nel renderci padroni della natura ma nel ricostruire un rapporto di rispetto sul piano etico e di appartenenza sul piano ontologico.
Paolo Burgi, paesaggista svizzero, porta la testimonianza di un progetto effimero ma altamente poetico che ha coinvolto il paesaggio agricolo del Mechtemberg in Germania nella zona del bacino della Ruhr. Il progetto, con il coinvolgimento dei contadini, ha cercato di proporre una esperienza di bellezza dell’agricoltura, con un’idea dove il bello si unisce all’utile. Il progetto si è svolto nell’arco delle diverse stagioni di due anni in una sorta di crescendo che segue il calendario agricolo.
Straordinaria la figura di Louis Le Roy, paesaggista olandese scomparso nel 2012, della cui opera principale che lo ha occupato negli oltre quarant’anni della sua vita – “La cattedrale ecologica” realizzata su un’area a Mildam nei Paesi bassi – abbiamo visto un bellissimo filmato. Le Roy, che si definiva “ecotetto”, nella sua opera ha utilizzato principalmente materiali di scarto edificando da solo, o con pochissimi aiuti, enormi muretti e costruzioni di mattoni, sassi, pezzi di cemento, che a poco a poco sono stati avvolti dalla vegetazione in una sorta di moderna Angkor. L’idea ispiratrice di questa colossale opera, continuata oggi da un’associazione che porta il suo nome, è la risposta al continuo degrado dell’ambiente e alla perdita di ricchezza ecologica e culturale e come esempio di rete ecologica intesa come elemento della natura che penetra nella città.
Domenico Luciani, che è stato per tanti anni il Direttore della Fondazione e ora dirige il Premio Scarpa per il paesaggio ha sottolineato come la cura della terra non sia compito degli specialisti ma del contadino, del pastore e del cittadino che coltiva gli orti urbani. Quella che si delinea è una sorta di triangolazione tra responsabilità concreta e utopica/poteri amministrativi e politici/saperi specialisti. La comunità scientifica deve dare il suo contributo nella consapevolezza della propria parzialità e l’architetto del paesaggio può solo offrire il proprio contributo aiutando ad accelerare i processi che nascono sul territorio. Il mondo nordico costituisce un esempio di eccellenza per la cura dei luoghi in quel dialogo sempre vivo tra sentimento della natura ed etica della responsabilità.
Marco Romano, etnografo, ha mostrato sequenze di due bellissimi filmati realizzati con il regista Michele Trentini: Cheyenne, trent’anni, 2008, che mostra la vita di una giovane pastora di pecore che ha scelto la missione della cura e del mantenimento del paesaggio in una valle del Trentino; Piccola terra, 2012, ci parla di un progetto di adozione di terrazzamenti abbandonati avviato da alcuni anni nel canale del Brenta.
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Luisa Arrò
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Grazie per questi aggiornamenti di respiro internazionale ma che perfortuna trovano spazio anche in Italia!…… speriamo inducano in tutti noi una crescita anche pratica e di realizzazioni.
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