C’era una volta a Milano. L’antica sinergia tra Milano e natura. Riccardo Rossetti
Circa diecimila anni fa gli Insubri giunsero in queste terre e costruirono i primi insediamenti; semplici capanne e palafitte. In seguito furono scacciati dai bellicosi Etruschi, comandati da due condottieri di nome Medo e Olano, i cui nomi congiunti si leggono MEDOLANO. Nella primavera del 623 A.C., un popolo gallico, capeggiato da Belloveso, valicò le Alpi e sconfisse gli Etruschi a Melpum(Melzo). Iniziava così il dominio celtico sulla Pianura Padana.
Intorno al I secolo dopo Cristo, lo storico romano Pompeo Trogo (oriundo della Gallia Narbonese), paragonò l’invasione gallica in Italia ad una “primavera sacra” (ver sacrum), un arcaico rito che consacrava agli dei tutto ciò che era animato; MAI LAND in tedesco significa appunto PAESE DI MAGGIO, il presunto mese in cui i celti invasero il Nord Italia.
Quando i giovani celti raggiungevano l’età adulta, venivano benedetti, bendati, condotti a confini delle terre conosciute e spinti ad un viaggio verso l’ignoto, sotto la guida di un animale sacro che li portasse ad una nuova casa. Un’antica leggenda medievale narra che un cinghiale indicò a Belloveso il punto esatto in cui edificare Milano; la Sus Medio Lanae, o scrofa semilanuta, è ben visibile tutt’oggi su uno dei pilastri dell’antico Palazzo della Regione (Piazza dei Mercanti).
Potrebbe far sorridere, o avvilire, che il nome della nostra città derivi da un suino ma dobbiamo tenere presente che per i Celti il cinghiale rappresentava il potere spirituale (contrapposto al potere temporale dell’orso), ed era spesso raffigurato di colore bianco, come le vesti dei sacerdoti druidi, proprio per il suo sacrale contatto con la natura.
MEDIOLANUM, ovvero un luogo sacro in MEZZO ALLA PIANURA, scelto non tanto per motivi strategicamente commerciali, quanto per ragioni spirituali; un punto di contatto tra l’uomo e la natura o, secondo il moderno gallese LLAWN (pieno), un CENTRO DI PERFEZIONE; il CENTRO DEL MONDO.
Molto tempo dopo, nel 1288 D.C. Bonvesin da la Riva, nel suo “De Magnalibus Urbis Mediolani”, probabilmente irritato dall’accostamento della sua adorata Mediolanum con un maiale, preferirà attribuirle un’etimologia derivante dalla sua posizione centrale tra l’Adda e il Ticino e rammentarne l’antico nome insubre: Alba. Ma anch’egli non mancherà di decantare il clima temperato, la fertile pianura, “le limpide fonti e i fiumi fecondatori”.
E ancora, nel 1457, dopo che Francesco Sforza fece riedificare il Castello, Milano risultava assai apprezzata dai visitatori perché tra le due cerchie d’acqua, i Navigli (Fossa Interna) e il Redefossi, si era creata una sinergia tra città e campagna caratterizzata da borghi, cascine, abbazie, conventi e svariate attività artigianali immerse nel verde. Nel 1479 l’ambasciatore veneziano Ca’ Donati espresse “singulare piacere a vedere molto bene questa citate di Milano […] con le sue fosse” e nel 1492, sempre due ambasciatori veneziani, lodarono il bucolico paesaggio di piccoli borghi perché rendevano “la città più bella”.
Insomma, un luogo degno di un fantasy anche dopo la costruzione dei Bastioni Spagnoli(1555). Immaginate la scena: si giungeva dall’aperta campagna e, appena attraversate le mura, convinti di trovare la città, ci si prospettava un ulteriore ed idilliaco scenario che gentilente ci avrebbe condotti all’effettivo centro.
Infine, Cesare Correnti, paragonerà Milano ad una pianta fatata che, sebbene messa a dura prova dalla storia, alla prima occhiata di sole, si rinforza e ringiovanisce perché la terra è buona e le radici sono sane.
Oggigiorno si stenta a crederlo ma la recentissima, leggendaria Milano delle grandi fabbriche, della conseguente, romantica ma venefica scighera(nebbia), e dell’inquinante pragmatismo, resa immortale da scrittori e registi, rappresenta unicamente un nero, singolo e minuscolo granello di sabbia nel nostro millenario arenile color smeraldo.
Riccardo Rossetti
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