A proposito del dibattito sulle destinazione dei terreni dell’Expo
Ho trovato molto puntuali e lucide le riflessioni di Enrico Fedrighini a proposito del dibattito sul post Expo e sulla destinazione dei suoi terreni; per questo motivo pubblico integralmente qui di seguito la lettera da lui inviata recentemente
Cari Amici,
sto ricevendo diverse mail sulla vicenda Expo; l’ultima in ordine cronologico, di Stefano C., sintetizza un umore diffuso e si conclude in questo modo: “…a festeggiare saranno sicuramente i costruttori, non i tanti cittadini come me che credevano in un cambio di rotta radicale rispetto alla Moratti, e credevano in una tutela del verde, non nell’ ennesima colata di cemento… E i referendum consultivi? Io la sera che si è vinto le elezioni ero in Piazza Duomo a festeggiare, è stata una delle giornate più gioiose della mia vita… siete riusciti a rovinare un sogno ! Sinceramente : dovessi tornare indietro voterei 5 Stelle, gli unici veramente coerenti. Mi piacerebbe sapere il suo parere in merito. Grazie e Buona serata. Stefano”L’accordo di programma fissa, per il post-Expo, un indice di edificabilità (0.52 mq/mq) e la superficie riservata a parco (almeno il 56 per cento). “E’ un regalo ai costruttori, una colata di cemento su Milano”, gridano in molti. “Il vento ERA cambiato”, aggiunge sarcasticamente il Fatto Quotidiano.Ho sempre avuto un approccio pragmatico alle cose, preferendo valutare nel merito le questioni e lasciando volentieri ad altri gli slogan e le frasi da propaganda. Se una scelta è utile o sbagliata per Milano, lo è indipendentemente dal fatto che sia promossa da un’amministrazione di destra o di sinistra. Agivo e pensavo così quando governava il centrodestra, non vedo perché dovrei cambiare atteggiamento ora che governa il centrosinistra.Per questo ripeto oggi le cose che ho più volte ripetuto in aula.Sono profondamente convinto che il futuro dell’area Expo sia una scelta urbanistica di valore strategico per il futuro di Milano: parlo di “futuro”, cioè di quello che rimarrà alla nostra città dopo la rassegna universale, perche la cosa mi appassiona molto più della manifestazione espositiva in sé.Ma una scelta urbanistica non si esaurisce nel determinare gli indici edificabili in una determinata area: per fare questo è sufficiente uno studente di ragioneria al secondo anno.L’urbanistica è qualcosa di un po’ più complesso e meno banale, perché ha l’ambizione di immaginare, sviluppare e collocare determinate FUNZIONI in un’area. E sono proprio quelle funzioni che trasformano, in meglio o in peggio, il volto della città. Esistono scempi urbanistici insanabili e che gridano vendetta, realizzati con indici volumetrici molto bassi; e viceversa. Il punto è un altro, e mi pare che nessuno di coloro che lanciano sospetti e paure (legittime) di una possibile speculazione immobiliare vi stia prestando la dovuta attenzione.Questa rappresenta, secondo me, la questione centrale perché da essa – non dalla sottoscrizione dell’Accordo di programma – dipende il rispetto del pronunciamento dei milanesi nei Referendum propositivi.L’area Expo è interclusa e connessa direttamente alle principali reti di trasporto esistenti: è collegata alla linea ferroviaria Torino-Milano, al corridoio di Alta velocità Torino-Milano-Venezia, al sistema tangenziale nord-ovest, alle autostrade Torino-Milano e Autolaghi (Malpensa), alla linea ferroviaria che conduce al valico svizzero del Sempione-Loetschberg. Non esistono nel Nord Italia (e ne esistono poche anche in Europa) aree paragonabili a questa sotto il profilo dei collegamenti con i corridoi infrastrutturali strategici.Che ne facciamo del futuro di quest’area (parlo della quota edificabile), una volta smontati gli stand e mantenuto la superficie prevista a parco? La solita, monotona, spaventosa distesa di torri residenziali, giardinetti condominiali con statuine di Biancaneve e i sette nani, megacentri commerciali con migliaia di parcheggi annessi?Oppure Milano – questa è la mia speranza – riuscirà a pensare anche a qualcosa di diverso e un po’ più utile? Nella nostra città, nel cuore di aree residenziali, esistono ancora diverse aree occupate da officine, aziende, laboratori, magazzini e depositi, pubblici e privati, che svolgono attività spesso anche insalubri o rumorose: si tratta di grandi spazi urbani sottratti ad un uso pubblico. Perché non pensare di realizzare nell’area Expo, a cavallo fra tangenziali e ferrovia, un distretto attrezzato nel quale trasferire e concentrare queste attività economiche (offrendo i servizi di cui necessitano), liberando contestualmente le equivalenti aree a Milano per trasformarle in parchi fruibili di quartiere, biblioteche, aree attrezzate, servizi ai cittadini? In questo modo i benefici del parco Expo si moltiplicherebbero in tanti parchi e servizi pubblici diffusi nella città, in prossimità delle zone residenziali. Ancora: esiste in città il problema del trasporto merci; le strade urbane sono ormai il “magazzino diffuso” dove le merci corrono a bordo di camion e furgoni congestionando la viabilità e avvelenando l’aria. Perché non pensare di collocare proprio nell’area Expo (servita da autostrada e ferrovia) un distretto-merci a servizio sia della distribuzione cittadina (magari su veicoli elettrici) sia del trasporto e smistamento di lunga percorrenza?Non mi scandalizza il fatto che alla fine qualcuno ci guadagnerà da queste operazioni immobiliari: succede così anche a Berlino o a Londra e francamente non conosco al mondo nessun operatore immobiliare filantropo. Ciò che fa realmente la differenza – e ciò che è mancato a Milano negli ultimi 18 anni – è un’Amministrazione locale in grado di indirizzare le grandi operazioni immobiliari a beneficio di un miglioramento generale della qualità della vita urbana.Io credo che questo sia possibile, nei mesi e negli anni che ci separano da Expo.
Da queste scelte, da questa visione della città, dalla capacità di assumersi la responsabilità di cambiare davvero strategia di sviluppo della città (non dal banale calcolo degli indici) valuterò l’operato di questa amministrazione. In modo rigoroso e inflessibile. Ma lasciando da parte gli slogan, che servono a poco.
Un caro saluto a tutti,
Enrico Fedrighini
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